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Adiratevi ma non peccate

«ADIRATEVI MA NON PECCATE» [1]

Più una persona sperimenta sentimenti di rabbia,
più è portata a vivere con tensione e disagio la sua vita,
i suoi rapporti con le persone sono messi in pericolo,
i sensi di colpa la possono tormentare e rendere inquieta.
Come imparare a vincersi?

Incontrare persone che si arrabbiano è certamente un’esperienza abbastanza frequente nella nostra vita quotidiana. A volte siamo noi stessi che ci arrabbiamo, altre volte siamo investiti dalla rabbia di qualcun altro: in ogni caso si tratta di un sentimento che di norma non rende piacevole la convivenza umana. Vorrei quindi proporre qualche breve considerazione su questo sentimento, che aiuti a comprenderne meglio le cause e le modalità con cui esso si manifesta e ad affrontarlo in modo corretto, limitandomi comunque a considerare quelle situazioni nelle quali la rabbia interferisce negativamente con il nostro benessere psichico e la nostra vita di relazione. È bene, infatti, annotare da subito che l’indignarsi – come l’aggressività in genere – in certe situazioni può rappresentare una risposta corretta e necessaria, come ad esempio quando ci si trova di fronte a situazioni di aperta ingiustizia o sopraffazione.

L’esperienza dell’arrabbiarsi. Una persona che si arrabbia prova normalmente sentimenti più o meno intensi che possono prendere nomi diversi: senso di frustrazione, delusione, fastidio, risentimento, ostilità, impazienza, animosità, collera, voglia di attaccare e distruggere. A volte questi sentimenti rimangono consapevolmente racchiusi dentro di noi e ci sforziamo di non manifestarli all’esterno, sia per ragioni di convenienza sociale sia per non mancare di carità, anche se all’occhio attento di chi ci osserva può non sfuggire ciò che interiormente proviamo. Altre volte questi sentimenti sfociano in comportamenti aggressivi di vario genere – parole, gesti, comportamenti – e ce la prendiamo direttamente con chi riteniamo sia all’origine della nostra rabbia (aggressività diretta) oppure ci sfoghiamo su persone, cose o situazioni che niente hanno a che fare con la nostra rabbia (aggressività trasferita). Non è raro, infine, che la rabbia vada a finire nel corpo: non venendo manifestata all’esterno o illudendoci che essa possa essere semplicemente accantonata o “rimossa” con la nostra volontà, il nostro corpo “parla” e manifesta, nella sofferenza di qualche organo (ad esempio lo stomaco o la testa), una sofferenza che può essere anche molto acuta e apparentemente inspiegabile. L’esperienza dell’arrabbiarsi varia molto da persona a persona. Alcuni sono abitualmente calmi e tranquilli e questo avviene o per un dono di natura o per un paziente lavoro su di sé e un impegno ascetico continuo; altri, all’opposto, sono portati a vivere spesso sentimenti di rabbia anche intensi, per cui basta poco perché “scattino” (come si dice in gergo) e si mostrino “alterati” nel loro comportamento, passando poi a comportamenti tramite i quali sfogano la rabbia stessa.

Cause dell’aggressività. Rabbia e animosità aggressiva sorgono prevalentemente quando riteniamo che persone, eventi o cose impediscano il nostro benessere e la soddisfazione dei nostri bisogni. Ci coglie la paura di non poter raggiungere i nostri obiettivi, avvertiamo un senso di minaccia all’immagine che abbiamo di noi stessi, ci sentiamo ostacolati nella nostra libertà di agire. La frequenza e l’intensità della reazione di fronte a ciò che scatena la nostra rabbia possono essere accresciute se ci troviamo in uno stato di grave stress, di tensione interiore, di dolore e di malessere; se ci sentiamo insicuri, indifesi e vulnerabili; se abbiamo poca stima di noi stessi. In tutti questi casi l’aggressività tende a manifestarsi con maggiore forza. L’esperienza della rabbia è legata anche al “livello di fastidio” proprio di ciascuno. Con questa espressione si intende la soglia oltre la quale non si riesce a sopportare situazioni dolorose o fastidiose. Tale soglia è legata a particolari condizioni fisiologiche o psicologiche della persona, all’età (ciò che un tempo era fonte di piacevole intrattenimento adesso ci infastidisce) e un po’ a volte anche… alla meteorologia. Per completezza di analisi, è opportuno aggiungere che a volte l’aggressività è condizionata dall’esposizione a “modelli” aggressivi, che possono indurre un soggetto a pensare che ricorrendo a comportamenti aggressivi e violenti si può ottenere quello che si vuole. È importante, infatti, verificare come le persone valutano la collera e l’aggressività: se cioè ritengono questi sentimenti positivi, salutari e necessari o, all’opposto, negativi e non funzionali. Di norma, quando si è arrabbiati si è consapevoli di ciò che provoca la nostra rabbia, ma può anche capitare che si sperimenti un senso di rabbia diffusa senza che ci si renda conto della sua vera origine. Si è arrabbiati con tutto e con tutti, se stessi compresi. Si tratta di una situazione che può capitare qualche volta a ognuno di noi, ma se essa è frequente e persistente, allora conviene cercare anzitutto di dare un nome a ciò che sta all’origine di questo stato di disagio. Alcuni sentimenti di rabbia, che si verificano con una certa frequenza e intensità e che sono causati da situazioni specifiche, possono diventare utili elementi per la conoscenza di sé. «Se vuoi sapere qual è il problema di una persona, vedi che cosa le dà più fastidio negli altri»: è una battuta intrisa di saggezza popolare, che conferma quanto appena affermato.[2]

Le conseguenze dell’arrabbiarsi. Quando una persona si arrabbia, si lascia andare facilmente a comportamenti di carattere aggressivo: parole offensive o volgari, gesti, particolari strategie di comportamento (ad esempio, quell’aggressività mascherata che si manifesta con silenzi prolungati e interruzioni di rapporti), azioni violente e distruttive. Le conseguenze di tali comportamenti riguardano sia la persona che sperimenta la rabbia sia coloro ai quali questa è rivolta. Chi si arrabbia può sentirsi interiormente disturbato e in colpa, perde la serenità d’animo, fatica ad avere una percezione realistica di persone e situazioni, mette in pericolo le sue relazioni con il prossimo, non riesce a fare bene ciò che sta facendo. A loro volta, le persone sulle quali viene sfogata la rabbia tendono facilmente a mettere in atto comportamenti di tipo reattivo (giudizi, reazioni fisiche o verbali, condotte di evitamento), si sentono ferite nell’immagine e nella stima di sé, conservano e alimentano in sé sentimenti di rancore, rimuginano su possibili comportamenti di ritorsione verso chi li ha offesi. Naturalmente le conseguenze dei comportamenti dettati dalla rabbia dipendono dalla frequenza con cui si ripetono, dall’intensità con cui si manifestano, dalle caratteristiche e dal ruolo delle persone alle quali è rivolto il comportamento aggressivo: persone legate a chi si arrabbia da vincoli di parentela o di amicizia oppure estranei, persone in autorità oppure dipendenti, persone che ‘se la prendono facilmente’ o che all’opposto tendono a passar sopra ai torti subiti. Di norma, più una persona sperimenta sentimenti di rabbia frequenti e intensi, più essa è portata a vivere con tensione e disagio la sua vita, sperimenta un senso di delusione nei confronti di se stessa, i suoi rapporti con le persone sono messi in pericolo, i sensi di colpa la possono tormentare e rendere inquieta. È pur vero che a volte, dopo che abbiamo sfogato la nostra rabbia, ci sentiamo meglio, sperimentiamo un senso di sollievo e di liberazione, si accrescono in noi un senso di autoefficacia e di capacità di spuntarla, si diventa più risoluti e meno timidi. Anche se tutto ciò è vero, si può comunque dire che tali “risultati positivi” si potrebbero molto probabilmente ottenere abitualmente anche adottando modalità comportamentali non aggressive.

Come tenere sotto controllo la rabbia. Quando ci rendiamo conto che cediamo frequentemente alla rabbia, sorge spontanea la domanda: come possiamo tenerla sotto controllo? Che è come chiederci: come possiamo diventare più buoni, pazienti, gentili, cordiali? Si deve dire subito che non è realistico pensare che non sia possibile, di norma, controllare in qualche modo la nostra rabbia e dire: “è più forte di me”, sentendosi come impotenti di fronte a un sentimento negativo che mette a rischio il benessere nostro e quello di chi ci sta intorno. Se si è animati da un sincero desiderio di migliorare, si può diventare a poco a poco più padroni di noi stessi – il dominio di sé è indicato da Paolo come uno dei frutti dello Spirito[3] – e migliorare così la qualità della nostra vita. Ecco qualche spunto concreto.

Cercare di ridurre stress e tensione. Questi, infatti, facilitano sentimenti di ostilità, di collera, di violenza. Sotto stress ci si sente più facilmente minacciati, diventiamo più rigidi e meno capaci di valutare obiettivamente la realtà. Ridurre lo stress può significare darsi del tempo e rallentare il ritmo della nostra esistenza, stabilire priorità e programmare con intelligenza le nostre attività e l’uso del nostro tempo, saper scegliere all’interno di un eccesso di stimoli e un eccesso di scelte che spesso si presentano a noi quotidianamente.

Promuovere la nostra salute psichica. Ad esempio: rafforzare la stima e la fiducia in noi stessi; diventare più consapevoli che il nostro valore personale non dipende da ciò che gli altri dicono o fanno nei nostri confronti; imparare a prestare maggiore l’età (ciò che un tempo era fonte di piacevole intrattenimento adesso ci infastidisce) e un po’ a volte anche… alla meteorologia. Per completezza di analisi, è opportuno aggiungere che a volte l’aggressività è condizionata dall’esposizione a “modelli” aggressivi, che possono indurre un soggetto a pensare che ricorrendo a comportamenti aggressivi e violenti si può ottenere quello che si vuole. È importante, infatti, verificare come le persone valutano la collera e l’aggressività: se cioè ritengono questi sentimenti positivi, salutari e necessari o, all’opposto, negativi e non funzionali. Di norma, quando si è arrabbiati si è consapevoli di ciò che provoca la nostra rabbia, ma può anche capitare che si sperimenti un senso di rabbia diffusa senza che ci si renda conto della sua vera origine. Si è arrabbiati con tutto e con tutti, se stessi compresi. Si tratta di una situazione che può capitare qualche volta a ognuno di noi, ma se essa è frequente e persistente, allora conviene cercare anzitutto di dare un nome a ciò che sta all’origine di questo stato di disagio. Alcuni sentimenti di rabbia, che si verificano con una certa frequenza e intensità e che sono causati da situazioni specifiche, possono diventare utili elementi per la conoscenza di sé. «Se vuoi sapere qual è il problema di una persona, vedi che cosa le dà più fastidio negli altri»: è una battuta intrisa di saggezza popolare, che conferma quanto appena affermato.2 attenzione ai sentimenti degli altri.

Essere convinti che i sentimenti che proviamo – rabbia, paura, delusione, tristezza, noia… – non sono “causati” dagli altri o dagli eventi esteriori: essi dipendono essenzialmente da noi. La nostra sensibilità dipende essenzialmente da come valutiamo e “leggiamo” l’ambiente e le situazioni in genere: una “lettura” solitamente così rapida e automatica, quasi un lampo ai margini dell’orizzonte, che neppure ce ne rendiamo conto, mentre siamo ben consapevoli dell’emozione che rimane in noi in seguito a tale lettura automatica della situazione. Già nel Manuale di Epitteto[4] si leggono affermazioni quali: “Gli uomini sono agitati e turbati non dalle cose, ma dall’opinione che essi hanno delle cose” (p. 53); un individuo “è tribolato e afflitto non dall’accaduto, poiché questo medesimo non dà niuna tribolazione a un altro, ma dal concetto che egli ha dell’accaduto” (p. 58); “quando ti senti montar la collera contro uno, pensa che la tua propria immaginazione è quella che ti sprona all’ira, e non altri” (p. 60). Noi siamo portati a dire, ad esempio: “tu mi fai arrabbiare”, “quella persona è proprio fastidiosa”, ma se le cose stanno come già gli antichi greci pensavano – e stanno veramente così! – allora è importante che sottoponiamo a verifica certe nostre convinzioni e “letture automatiche” di persone o situazioni in rapporto alle quali più spesso proviamo rabbia, per verificarne la correttezza. Un esempio può aiutare: se l’auto che precede la nostra va, secondo noi, troppo piano, è facile che ci arrabbiamo. È evidente che la nostra rabbia è causata da come noi “interpretiamo” e valutiamo il comportamento di chi ci precede. Ma chiediamoci: che prove abbiamo che il nostro modo di valutare il comportamento dell’altro è corretto? Per soffocare la nostra rabbia, occorre modificare il nostro modo di leggere la realtà. Forse pensava a questo chi un giorno disse: “Sii gentile con gli altri, perché non sai cosa possono aver passato”.

Renderci consapevoli dei sentimenti aggressivi e occuparci di loro. “Un utile espediente riguardo ai sentimenti aggressivi è di ammetterli al cospetto della nostra coscienza, di accettarli come dati di fatto e di far luce su di essi… In questo processo di chiarimento ci poniamo domande del genere: «Che cos’è che mi ferisce o mi minaccia?», «Da che cosa dipendono i miei sentimenti?», «Che c’entra lui con questo?», «In che consistono le mie difficoltà?». In questo modo i pensieri e i sentimenti che provocano aggressività e collera, o che sono ad essi connessi, ci si rendono accessibili.[5] Anche attraverso questa analisi segreta su noi stessi arriviamo a renderci conto che sono io stesso la causa dei miei sentimenti, non gli altri. Esprimere i sentimenti senza valutare gli altri. Dire ad esempio: “io rimango molto male (o deluso, o irritato) quando tu non mi informi dei tuoi progetti”, anziché: “tu non hai nessun riguardo per me e non mi consideri”, è un modo concreto di manifestare le proprie emozioni senza valutare gli altri, e soprattutto considero i miei sentimenti di rabbia come solo miei e non rendo responsabile l’altro di quello che provo.

Ricorrere alle proprie convinzioni religiose. La parola di Dio ci offre tanti motivi di riflessione che ci inducono a non lasciarci andare a manifestazioni di rabbia e ostilità. “L’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio”;[6] “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”;[7] “Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”.[8] Papa Francesco, nel corso di un’udienza generale,[9] così si espresse: «Quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli veri. Quanto è bello! Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e antipatie; forse tanti di noi sono un po’ arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore io sono arrabbiato con questo o con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell’amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!». A loro volta, anche i santi ci offrono un’infinità di esempi che ci esortano alla mitezza, che è espressione di calma, amore per la verità, rispetto. Valga per tutti l’esempio del beato papa Giovanni XXIII che amava ripetere: “Mitezza e pazienza sono due spade infallibili”;[10] “La pazienza e la mitezza aggiustano tutto”.[11]

© Aldo Basso, in Testimoni 9/2013

 

1. Ef 4,26.
2. Davide Lopez a sua volta scrive (Il mondo della persona, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1991, p. 138): “Là dove vi è sdegno eccessivo verso gli altri, là vi è profondo sdegno verso se stessi”, volendo così sottolineare che ciò che si disprezza particolarmente negli altri è una propria tendenza caratteriale, negata e ripudiata.
3. Gal 5,22.
4. Il Manuale di Epitteto, presentato e riletto da Dino Basili nella traduzione di Giacomo Leopardi, Milano, Mondadori, 1994.
5. Reinhard Tausch, Per vivere serenamente, Milano, Paoline, 1992, p. 311.
6. Gc 1,20.
7. Lc 6,27-28.
8. Ef 4,31-32.
9. Francesco, Udienza del mercoledì, 12 giugno 2013.
10. Angelo Giuseppe Roncalli – Giovanni XXIII, La mia vita in oriente – Agende del delegato apostolico 2:1940-1944, Bologna, Istituto per le scienze religiose, 2008, p. 586.
11. Ibidem, p. 655.